Dire fare baciare lettera testamento. Quando il reale copia la finzione

I mezzi di comunicazione di massa hanno stravolto il rapporto tra reale e finzione. Quello che un tempo appariva chiaramente distinguibile, oggi non pare più esserlo.
L’invasione dei mezzi di comunicazione : televisione, internet, telefono cellulare, con il loro coinvolgimento ad una realtà virtuale, che noi possiamo chiamare simbolica, in quanto parte e altro della realtà, ci ha sedotto a tal punto da far variare i nostri comportamenti fino al punto da essere nociva per la società.
Ne sarebbero testimonianza le violenze prodotte, per lo più da giovani, sulla scia di simulazioni di spettacoli e videogiochi basati sulla violenza.
Questo è essenzialmente la tesi esposta nel saggio : “L’età della finzione” , scritto da Massimo Melotti.
Il prof. Melotti oltre che affermato critico d’arte del museo di arte contemporanea del castello di Rivoli è docente di etica della comunicazione e di sociologia dei processi culturali presso l’Università e l’Accademia di Belle Arti di Torino.
Al centro delle riflessioni ed imputato della situazione c’è il mondo globalizzato della comunicazione di massa dove non è la notizia a fare informazione, ma lo è la sua spettacolarizzazione .
A questo proposito si avvera quanto affermato, già nel 1967, dal sociologo canadese Marshall MacLuhan con la famosa frase: “Il medium è il messaggio” con la quale egli sosteneva appunto che il messaggio influenza l’opinione pubblica non per il suo contenuto ma per il modo in cui viene proposto e presentato, un esempio evidente, in Italia, è dato da quante trasmissioni televisive usando la forma di talk-show sono state prodotte intorno alla vicenda di Anna Maria Franzoni.
Nella società della comunicazione, nessuno resiste al richiamo insistente ed invitante del proprio cellulare (nome che indica anche il mezzo che trasporta i detenuti) anche se sta parlando con un altra persona e non è in attesa di una chiamata importante, ebbene quella chiamata seppur priva di rilevanza “connette” con il mondo ed è rassicurante.
Quella telefonata fatta al nostro numero privato, quindi solo per noi, è un medium ritenuto più significativo del rapporto diretto con l’altro.
Il mezzo televisivo ha invaso letteralmente le nostre case e modificato il modo di intendere i rapporti sociali all’interno del nucleo familiare e si è costituito come elemento annunciante verità e certezze.
Tutto viene vissuto, attraverso la televisione, come una forma di spettacolo, non importa se si tratta di un varietà o dei funerali di Stato, tutto assume la forma e la valenza di uno show, e questo lo hanno capito molto bene i politici che, invece di farla la politica, ne rappresentano le squallide schermaglie negli innumerevoli e ripetitivi dibattiti televisivi, ottenendo così ampio consenso popolare.

Maggioranza ed opposizione si dimostrano concordi nel considerare il mezzo televisivo come un filo diretto che consente, più di ogni altro sistema, di raggiungere l’opinione pubblica così come lo fanno gli spot pubblicitari, d’altronde anche il contenuto non se ne differenzia.
Risulta diffusa l’opinione che per essere riconosciuti socialmente bisogna comparire in TV.
La televisione ha sostituito la piazza, il tribunale, il mercato. Per essere vivi bisogna essere presenti in TV, non in quanto personaggi famosi, ma per attestare la propria esistenza.
La televisione crea un mondo artificiale con degli individui reali, il “ mito televisivo”, una specie di Olimpo su schermo, dove compaiono indifferentemente tutti . Si diffonde nei telespettatori la sensazione che l’apparizione sullo schermo sia la prova definitiva di una vita riuscita.

Le occasioni offerte per partecipare all’evento televisivo, o comunque interattivo, si moltiplicano in maniera esponenziale. Questa partecipazione diventa appunto l’elemento più importante dello stesso evento, ecco perchè si dice che la finzione supera il reale.
L’antropologo Marc Augè, nell’introduzione al saggio “L’età della finzione” dice:
“Ci fu un tempo in cui il reale si distingueva chiaramente dalla finzione , in cui ci si poteva fare paura raccontandosi storie ma sapendo che erano inventate, in cui si andava in luoghi specializzati e ben definiti (parchi, fiere, teatri, cinema) in cui la finzione copiava il reale . Ai giorni nostri, si sta producendo l’inverso: il reale copia la finzione.
Questa spettacolarizzazione, questo passaggio alla finzione integrale che fa saltare la distinzione reale-finzione si estende al mondo intero”.
Oltre ad assottigliare questa distinzione la TV veicola quello che è il suo medium specifico e cioè quello dell’intrattenimento, a proposito dice Mario Perniola:
“tuttavia a minacciare la cultura non è tanto la televisione in sé, quanto quel processo di livellamento della varietà delle esperienze su di un solo registro, quell’appiattimento delle molteplici dimensioni della realtà sulla attualità colta nella sua immediatezza, di cui la cronaca televisiva costituisce uno dei punti culminanti.
Quando avviene un attentato come quello dell’Undici Settembre ci s rende conto che l’attualità massmediatica non è affatto l’esperienza del presente, ma la sua mancanza, la sua inconsistenza il suo venir meno. Infatti questa attualità è dominata da una febbre distruttiva, da una fame che divora tutto ciò che tocca e che ci rende segretamente complici di ogni annientamento”.
Nel testo di Melotti viene analizzata la virtualità del mondo di internet, dove è possibile avere contatti immediati con qualsiasi utente in rete in forma anonima e cita il caso di quell’omosessuale berlinese che risponde all’annuncio : “Cerco un uomo di bell’aspetto che si lasci mangiare da me”, egli va all’appuntamento e si fa compiere ciò che era richiesto, il tutto ripreso da una telecamera.

Su internet è possibile soddisfare ogni richiesta, pare che vada di moda scambiarsi il virus dell’AIDS, ci sono siti in cui è possibile accordarsi in proposito. Ovviamente il grande imputato è il gioco virtuale basato sulla simulazione della violenza ; pare che il massacro degli studenti della scuola della Columbaine, negli USA, avvenuto nel 1999 e che costò la vita a 15 ragazzi ed il ferimento di 20 persone, fu organizzato da alcuni studenti della stessa scuola che fino a poche ore prima avevano giocato ad un gioco di simulazione di massacri.
Alcune mie considerazioni qua e là su questi argomenti : l’avere quotidianamente a portata di mano esempi di violenza o simularla in giochi interattivi non induce necessariamente a compierla, ciascuno di noi ha in casa una quantità esagerata di coltelli per ogni uso: per le ostriche, per il parmigiano, per il pane casereccio e per quello comune ecc. non per questo ci sentiamo più propensi a sgozzare l’ospite di turno.
E’ sempre e solo il soggetto che in base della sua storia personale sviluppa il concetto e la messa in atto dell’odio. L’odio è il non ammettere il soddisfacimento è una costruzione logica, non un impulso cieco , come afferma Giancarlo nella sua “Rubrica di psicologia”.
L’odio nasce dalla mancata imputazione all’altro , nella patologia ne diventa il sostituto.

Riguardo alla questione della realtà e della sua eventuale mistificazione mi viene da dire che la realtà psichica è quella che ciascuno vive o che, riguardo al suo passato ricorda : non importa se mio padre mi ha picchiato solo una volta, la realtà vissuta da me ed i suoi sviluppi sono stati dati dal fatto che per me lui lo faceva spesso.
La realtà è conoscibile da ciascuno con la capacità di imputare, di dare dei giudizi sugli accadimenti, non esiste un reale assoluto, simbolico.
L’imputazione, dice ancora Giancarlo, non è un concetto solo penale, ma anche e soprattutto un concetto premiale. L’imputabilità è dire il proprio pensiero è stabilire dei rapporti di relazione con l’altro. Nella relazione il premio viene diviso ed intascato da i due soggetti ed il cui frutto può essere esteso all’universo, solo il rapporto relazionale può fare universo.
Con la televisione o con internet, salvo i casi in cui serve a mettermi in contatto con le persone, non posso che avere un rapporto oggettuale.
Nel rapporto oggettuale, cioè con qualcosa che non si può relazionare con me , io ricevo solo, lo scambio non è reciproco. Certamente l’uso di certi oggetti, pensiamo ai libri, è assolutamente auspicabile, ma l’autore di quel testo non ha la possibilità di imputarmi a sua volta e di accettare o meno la legge di relazione.

Concludo affermando che lo stato attuale della nostra civiltà denominata “postmoderna” non è tanto dissimile dal passato, il tempo dorato del “una volta sì che si stava bene” esiste solo nelle favole, riporto di seguito un brano da un saggio di Freud del 1908:
“La vita nelle grandi città diventa sempre più raffinata ed in quieta. I nervi esausti cercano ristoro in stimoli più intensi, in piaceri, piccanti, per stancarsi così ancora di più. La letteratura si occupa dei problemi più scabrosi, che sommuovono tutte le passioni incoraggiano la sessualità e la sete di godimento, il disprezzo di tutti i principi etici e di tutti gli ideali. Le nostre orecchie sono stimolate e sovraeccitate da una musica invadente e chiassosa , somministrata in grandi dosi; i teatri presentano spettacoli provocanti ed anche le arti figurative si rivolgono di preferenza al ripugnante e non esitano a metterci sotto gli occhi con rivoltante verismo anche gli aspetti più mostruosi offerti dalla realtà”.

BIBLIOGRAFIA

Massimo Melotti,“L’età della finzione”,Roma,Luca Sossella, 2006
Marshall MacLuhan,”Gli strumenti del comunicare”,Milano,Il Saggiatore, 1967
Mario Perniola, “Contro la comunicazione”,Torino,Einaudi, 2004
Guy Debord, “La società dello spettacolo”, Milano, Badini Castoldi, 2001
Giancarlo Gramaglia, “Rubrica di psicologia vita quotidiana”,Torino,LFLP, 2006
Sigmund Freud, “Il disagio della civiltà” ,Torino,Bollati Boringhieri, 1971

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