Introduzione
La lettera che segue riassume lo sconcerto che il Laboratorio di Formazione e di Lettura Psicoanalitica (LFLP) di Torino andava registrando e cercando di capire gli ambiti del discorso psicoanalitico di lingua italiana nei suoi primi anni di costituzione, non solamente all’interno del pensiero freudiano e a prescindere da associazioni specifiche.
Alcuni dei partecipanti LFLP notavano che parecchi addetti ai lavori parlavano di psicoanalisi, ma iniziavamo a chiederci Chi sapeva di cosa stava parlando.
In primo luogo anche il Laboratorio si poneva il medesimo interrogativo: dunque che cosa poteva essere la psicoanalisi?
Almeno nei primi dieci anni di storia dell’LFLP se c’è una costante è questa domanda.
La lettera che segue oltre al senatore Adriano Ossicini, (membro della Società Psicoanalitica Italiana SPI) fu inviata ad alcuni esponenti politici, alle associazioni che si denominavano psicoanalitiche nelle loro diverse sedi, in particolare SPI, ed infine ad personam ad un centinaio di noti colleghi italiani.
Non ci furono risposte!
Furono contattati telefonicamente anche alcuni colleghi per meglio capire il silenzio.
La lettera è stata pubblicata a pag. 78/79 sul primo annuario del LFLP che comprende i primi dieci anni di attività (1980-1990)
Lettera del Laboratorio di Formazione e Lettura Psicoanalitica
Gentile collega,
questa lettera circolare ha quale obiettivo di verificare le perplessità e i dubbi in relazione al progetto di legge Ossicini per l’ordinamento dei due albi professionali dello psicologo e della psicoterapia.
Il Laboratorio di Lettura Psicoanalitica è una struttura minimale in cui operano alcuni psicoanalisti che sottopongono delle questioni a studenti, professionisti ed a tutti gli interessati attraverso incontri, seminari e ricerche.
Perseguiamo il superamento delle scolastiche correnti formative, ponendoci distanti dal farmaco e dalle classificazioni nosografiche.
La nostra pratica analitica ci ha portato a constatare che la psicoanalisi non cura il sintomo né guarisce: perlomeno entro un’accezione medica dei termini.
La patologia, ben lungi dall’esaurirsi nella sociogenesi, può interessare ciascun parlante.
Riteniamo necessario un ordinamento legislativo che permetta agli psicologi, di cui ci consideriamo parte, di fare un primo, e non un ultimo, salto di qualità della categoria. Però attenzione: di qui ad andare a regolamentare tutto, compresa la psicoanalisi, pensiamo sia eccessivo ed inopportuno. Le ricerche di garanzia non debbono trasformarsi in chiusure pericolose. Ci chiediamo infatti fino a che punto il legislatore si renda conto di dove il suo progetto vada ad interferire in alcune questioni disciplinari fondamentali.
Una posizione analitica come quella del Laboratorio qui accennata si adatterebbe a rientrare in una definitoria psicoterapeutica? La risposta è no.
Consistenti gruppi, correnti e movimenti analitici, dai più noti ai meno noti, non potrebbero accettare restrizioni se non a scapito del proprio pensiero. È pur vero che queste posizioni, importanti per la formazione psicologica, eterogenee, sono molto spesso scomode. Ma è il caso che un atto legislativo dello Stato entri in merito ad una dialettica disciplinare ed interdisciplinare, schierandosi non importa da quale parte?
E’ sconcertante, e perfino un po’ ridicolo, pensare che il corpus teorico di una disciplina possa venir scisso da un atto legislativo. Non vediamo i vantaggi per la categoria!
La decisione che uno Stato autorizzi istituti ad autorizzare psicoanalisti in possesso di diplomi per poter praticare la professione potrà essere tranquillamente valutata dalla maggioranza delle persone non addentro alle problematiche analitiche come una giusta tutela sia della professione sia del fruitore della prestazione.
Però l’assistenza ed il controllo sono elaborati in diverso modo nello statuto dello psicoanalista, e da ciò non si può prescindere.
Ogni psicoanalista sa molto bene che è legittimato dal suo training e dalla sua pratica conoscitiva, ed è solamente assumendosi il rischio del proprio progetto che può organizzare il mestiere analitico.
Ciò non significa che lo psicoanalista non ritenga di dover fornire garanzie alla società, o possa fare a meno di rapportarsi con la comunità psicoanalitica e non, anzi. Qui si tratta di capire e di valutare se un altro (Ente, Individuo, Stato, ecc.), possa farsi garante per lui. Il che non è possibile.
Lo psicoanalista può funzionare per delega o per procura?
È una questione non di poco conto per la psicoanalisi, attorno a cui è auspicabile si aprano dei dibattiti, comunque non da sancire legislativamente.
Gentile collega, se ritiene che possiamo dirci delle cose, servirci a vicenda, magari attuare, saremo lieti di incontrarci.
Torino, 27 maggio 1985
Giovanni Callegari
Giancarlo Gramaglia