di Flavia Giacometti
La storia che voglio raccontare comincia così.
Quando qualcuno, pre-posto ad accompagnarmi per un tratto di strada, poiché lui già la conosce, si avvicina per adempiere a tale compito: io lo seguo. Posso stare attenta, ma perlopiù penso che sia lui a pensarci.
Questo è il pensiero del bambino che ha una maturità iniziale e tratta il reale come accessibile.
Per rinnovare la propria legge costituita egli risponde agli eccitamenti e si soddisfa per mezzo di un altro.
Poi, accade che si stabiliscano maniere (non voglio chiamarle regole) per crescere e per relazionarsi.
Poi accade che anche l’accompagnatore rispondendo agli eccitamenti si soddisfi.
Poi accade che io non mi aspetti che tutto ciò avvenga, non solo, ma non riesco proprio a spiegarmelo.
Insomma la mia ingenuità sta nel fatto che non mi aspetto che l’altro, fonte del mio beneficio, mi inganni. Impreparato a ciò, mi sento danneggiata.
L’ingenuità è la porta d’ingresso che apre la via dell’espropriazione…(….) è la corruzione della legge di rapporto già costituita nel bambino.
Il pensiero può essere ingannato. Poco importa l’intenzionalità dell’altro, conta come io mi sento in una determinata circostanza. E in quella circostanza mi sento tradita, cioè scoperta, ancor più nuda, di fronte all’inganno.
Allora penso che per conservare l’amore iniziale devo rinunciare alla soddisfazione e perseguire virtù e insegnamenti.
Ecco l’espropriazione, cioè lo spostamento dalla mia norma soggettiva. Una violenta virata verso lidi e mete che non mi appartengono e che non approdano ad un nuovo mondo, ma semplicemente a quello di un altro il cui insegnamento s’impone.
Tutto ciò perché qualcuno mi ha tradita ed io adesso lo odio.
Ma il tradimento che cos’è? Non è l’opposto di fedeltà e neppure di coerenza. Sarebbe come dire che ripetitività e fissità garantiscono uno stare bene in armonia. Garanzia mortifera.
Non c’è sviluppo in uno status quo. Posso viceversa provare a considerare il tradimento riferito alla mia persona, tradimento dunque della mia norma soggettiva tradimento che giustifica aggressioni indebite e dona loro vestibilità.
Questo turbinio, provocato dal desiderio deluso, provoca aggressività che diventa il comportamento agito per esprimere l’espropriazione. Durerà fino a che non non riesco a stabilire un rapporto con l’altro.
E la storia continua perché il desiderio spinge. Ciascun soggetto conosce il moto attivo verso un guadagno perché l’ha imparato da bimbo. L’essenza del desiderio è la possibilità di agire, la registrazione dell’accaduto, non mancanza dell’accaduto.
Ciò che desidero deve ancora accadere cioè è posto tra l’essere e il divenire. Si tratta di uscire dalla trappola che tesse la fitta ragnatela dei legami già dati per inventarne di nuovi.
Ora si tratta di trasferire questa storia e i suoi contenuti al mondo adulto. Perché no? Come fare?
Ripercorrere la propria storia per poterla superare.
Sento dire della mancanza di creatività, interesse, valori ecc. Insomma un vero piattume dal quale ci si difende addebitandolo a qualcun’altro: il vicino, il collega, lo studente, il politico, l’intero sistema, come se io non fossi degno di stare sulla scena al pari di qualcun’altro. Ma se la pellicola si svolge senza di me, mi sento escluso e insoddisfatto. Non è un fatto generazionale l’espressione della norma soggettiva. Dunque posso insegnare e posso imparare, se lo comprendo, posso farlo senza fastidio e senza procurare fastidio.
La proficua disponibilità di chi entra in gioco abbandonando la relazione di dominio favorisce lo scambio.
Quello scambio che costruisce cultura e civiltà.
Il rapporto diventa benevolo e di pace a mano a mano che ci si conosce e ci si parla e quindi si torna ciascuno ad insegnare e ad invitare all’importanza del contributo energetico per l’appunto, di ognuno, per il benessere di uno stare insieme, che senza tema di smentita, diventa mondo.
Immagine: Jean Geoffroy: Bambino con un “burnou”.