Tutto su mio padre – Serata del 18 novembre Think!Amo

E’ il 1949 quando da Trinitapoli, in provincia di Foggia, dove sono nato l’anno prima, ci trasferiamo a Torino, la nostra famiglia è composta de me Ernesto, Caterina e Michele.
Caterina morirà presto di infarto lasciandoci soli, sto per dire: finalmente, perché era Michele il mio preferito: era bello impavido, spavaldo. Aveva i capelli rossi e le lentiggini intorno al naso ed alle guance di quel rosso Tiziano come un certo tipo di foglie d’autunno. Così che, quando molti anni dopo ho incontrato Maria Grazia con lo stesso colore di capelli e le lentiggini e quel profumo di grano che emanava la sua pelle al sole non ho potuto fare a meno di sposarla. Il sole è un elemento che associo al pensiero di Michele.
Michele era bravo in tutto, gli ho visto costruire mobili, smontare e rimontare completamente il televisore, riparare il motore e la carrozzeria dell’automobile, cucinare, tagliare e cucire vestiti, risuolare le scarpe, fare il lattoniere ed il muratore e non so quante altre cose con pochi attrezzi. Era l’ingegno il suo attrezzo d’uso comune perché non c’era problema di riparazione che affidatogli non riuscisse a risolvere.
Di queste capacità sono testimone perché in tutti i lavori gli facevo da aiutante per cui dovevo: tenere-stringere-girare-sollevare ma, esattamente come lui pensava si dovesse fare, non potevo usare la la mano sinistra se c’era da usare destra perché volavano a tutto spiano insulti sulla mia incapacità. Poiché nessuno sapeva fare le cose come lui non esitava ad usare lo stesso atteggiamento con il medico o il direttore di banca o l’avvocato poiché pur non avendo mai studiato quelle materie, si metteva a spiegare a loro come dovevano fare.
Sapeva tutto prima che accadesse e siccome pensava che nel mondo ognuno cercasse di fregare gli altri per questo lui lavorava d’anticipo, ho saputo che aveva allacciato la corrente di casa a quella della strada, che se gli prestavano soldi soldi senza ricevuta affermava di non aver mai ricevuto nulla e questo è accaduto con sua madre ed altri parenti.

La mia posizione è stata quella di non sapere come pensare perché odio ed ammirazione si mescolavano continuamente: mentre riconoscevo in lui un’abilità sconfinata la sua limitazione al mio pensiero era soffocante, lui era la legge assoluta, l’incarnazione di ciò che dovevo o non dovevo fare.
Ne ho tratto la costruzione di un Super-Io iper-moralista, dove la fedeltà alla parola data e all’onestà erano assoluti e venivano prima di tutto, dove il mio pensare oscillava nella titubanza continua tra l’essere il migliore di tutti o indegno di ogni considerazione.
Ho poi cercato nel tempo e col tempo una via che fosse senza ostilità.

Ernesto Rinaldi

PADRE

da “Ricchezze paterne di amanti”

L’idea di padre è un pensiero dell’uomo e non appartiene alla natura, non ha nulla a che vedere con papà e mamma, né con il principio di comando, ma con il principio di eredità progressiva principio di acquisizione del beneficio, esercizio del possesso legittimo nei riguardi dell’universo. Non è nulla di ascendente o discendente. Eredità progressiva vuol dire che si va facendo come nel caso di un prodotto che si vuol migliorare.

Giancarlo Gramaglia

I MIEI MAESTRI, IL MIO PARROCO, E IL PERMESSO

17 aprile 2007

Ho avuto almeno un privilegio, quello di Maestri come Freud, Lacan, Marx, Kelsen, Weber, Kant come maestro-avversario (ne sto omettendo alcuni, non per censura).
Però sarei iniquo se non menzionassi anche il mio non celebre Parroco di seconda infanzia; che meraviglia di Parroco!: egli è stato, oltre mio padre, un maestro di logica.
Perché?: perché era l’incarnazione del “No!”, a tutto: anzitutto alle donne – assenti assolutamente nei suoi sermoni, tutt’al più menzionava pudicamente la Madonna -, ma poi anche alle cose più alla portata parrocchiale di noi bambini: i fumetti erano “no!”, anche quelli della “buona stampa” cattolica; così come era “no!” il cinema in sala non solo pubblica ma anche parrocchiale, che tollerava appena; e anche la normale agitazione ludica di noi bambini.
Ma non lo sto esaltando perché era un burbero benefico (e lo era), bensì perché il suo “no!” così perentorio e assoluto mi ha coadiuvato nel pensiero: infatti se tutto era “no!”, allora toccava a me vedermela, il campo era libero: bene e male erano affar mio. Per le mie zie adorate – dello stesso stampo: “No” a tutto- ho ancora lo stesso affetto.
Ma perché affetto?, e non masochista?, quale era l’oggetto del loro “No!” così assoluto?: ebbene, l’oggetto del “No!” non era questo o quello: era la domanda di permesso.

Permesso è ciò che è universale senza chiederlo (è il concetto di permesso giuridico).

Da anni so che i Logici non hanno molta simpatia per il permesso giuridico, che significa: non si domanda ciò che è già giuridicamente permesso alla competenza individuale, o anche non domandarmi ciò che è già tuo. Non domandare quando si tratta di prendere iniziativa.

Giacomo Contri

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